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FRA QUOTIDIANO E PROGETTO

Un'altalena di riflessioni fra ospiti della CASA sull’articolazione di una giornata in comunità

Dice Giovanni: «Sono alla CASA da quindici giorni: l'ultimo arrivato. Prima ero in un'altra comunità terapeutica, a Cetona, in provincia di Siena. Qui mi sono trovato benissimo fin dal primo momento. Sono stato accolto da tutti in maniera meravigliosa: i rapporti umani risultano affettuosi. Mi hanno aiutato molto, specie agli inizi, che notoriamente riservano i momenti più critici. Lavoro otto ore al giorno, ma in armonia con me stesso e con gli altri». 
Gli fa eco Francesco: «Son o invece il più anziano di comunità: in questa C.A.S.A. ci sto da diciannove mesi. Terminato il lavoro quotidiano, il momento più forte di ogni giorno è la verifica.
E' fondamentale per la vita di comunità: parliamo di un nostro problema, personale o di gruppo, di rapporto umano intersoggettivo. Ci aiuta a confrontarci, a guardarci allo specchio. Quando ero fuori, per la strada, ho incontrato molta ipocrisia. Più che altro venivo giudicato, quasi mai aiutato. Al più, la gente mi diceva che ognuno ha i suoi problemi, dunque ciascuno deve sbrigarsela da sè. Qui in comunità ho imparato invece ad addossarmi i problemi degli altri, ad essere capace di ascolto, a cercare di capire gli altri come prima desideravo capitasse nei miei confronti». 

E Alfonso aggiunge: «Per comprendere il valore della comunità bisogna anche tener presente chi la anima. Sono tutti volontari, rendono il proprio servizio gratuitamente. Non è come il personale di una D.S.L. o di un ente pubblico. Chi viene qui è motivato da esigenze di crescita parallela: vuol darci una mano per diventare compagno di viaggio. Per noi è anche un modo per confrontare l'interno con l’esterno». 

Poi Enzo: «Io ho assistito ai momenti più critici della C.'A.S.A., anzi vi ho preso parte: quel giorno ne vidi andare via cinque o sei, ed anch'io a rimorchio. E' che mi affeziono molto agli amici, e quando qualcuno va via ne soffro. Neanche venti giorni fuori e mi hanno arrestato. In carcere tanti progetti: - quando esco non mi faccio più - dicevo a me stesso. Appena fuori, invece, ho ripreso a bucarmi. Poi a rubare, a sbattermi nella roba, ed è arrivato per la seconda volta il carcere. Lì ho deciso di rientrare in comunità alla ricerca di un mio ruolo positivo nel vivere sociale». 

Ancora Francesco: « Qui seguiamo un programma terapeutico diviso in cinque fasi, da sviluppare per lo più in ventiquattro mesi di permanenza. Nei primi tre mesi si inizia a condividere la vita comunitaria, a rispettarne gli orari, ci si affida agli altri (ogni ragazzo nuovo viene affidato ad uno più anziano di comunità, che lo segue costantemente), si fa conoscenza. La seconda fase dura invece sei mesi e serve a radicare in noi, fino ad incarnarli, alcuni principi di fondo, da interiorizzare per accrescere il senso di responsabilità. Per esempio: credere in se stessi, cercare di capire anziché pretendere soltanto di essere capiti, dire tutto a tutti con garbo, evitare qualsiasi forma di violenza verbale e gestuale, aver fiducia nel gruppo di amici e in quanti si dedicano a noi, condividere la C. A.S.A. come fosse la nostra casa ».

E Alfonso completa: «La terza fase, che di solito si protrae fino al dodicesimo mese di permanenza in comunità, è quella delle responsabilità. Sono galloni che si conquistano sul campo. Oltre le responsabilità materiali, di settore (relative all'attività di lavoro che ciascuno di noi svolge: l'agricoltura, la muratura, la serigrafia ecc.) e nei confronti della C.A.S.A. come struttura, ci sono le responsabilità personali verso l'altro, non meno impegnative delle prime. E finalmente, dopo quindici mesi, inizia la fase' della verifica esterna. E' questo il momento in cui rientriamo in famiglia per la prima volta, inizialmente solo per due giorni, per confrontarci con l'esterno e verificare appunto il cammino fatto in comunità. La quinta e ultima fase è la comunità part-time: si sta fuori anche per un'intera settimana, o a giorni alterni, o al mattino soltanto, per cercare l'integrazione graduale ma definitiva nel modo sociale e lavorativo. Così, un po' alla volta, senza correre per non arrivare alla meta con il fiato- ne, si impara a diventare Uomini con la U maiuscola, cioè a prendersi carico di responsabilità verso se stessi e verso gli altri. E' questa la fatica, l'aspirazione più grande di chi è in comunità: in questa maturità da conseguire c'è la chiave di volta della realtà C.'A.S.A. e dell’impegno di chi la anima» 

A cura di Renato Brucoli
da Luce e Vita

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