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LA CASA: CRONACA DEI PRIMI PASSI

Speranza ed operosità

"Consumo la mia vita per loro ... lo faccio con amore, gli dai la vita perchè vanno incontro alla morte ed ogni volta è come se mi nasce un figlio".
Don Michele Fiore. La comunità Casa oggi è la sua "casa".
Vent'anni, e venti "Natali" trascorsi a "ridare fiducia", quotidianamente, in quei ragazzi e quelle ragazze che don Michele definisce "fragili", che vanno incontro alla sofferenza e nei quali il richiamo verso la tossicodipendenza è forte.
Da un paio d'anni Don Michele (amico e collaboratore di don Mazzi), don Gino Martella, don Nino Prudente, don Tonino.

Faccia a faccia con i "bisognosi", a "guardarti dentro", diretti, immediati, severi e dolci allo stesso tempo. Vent'anni di "forza", di "speranza", di "operosità" nel senso più alto del termine. Vent'anni "di storie, di fallimenti - come ha scritto il vescovo mons. Luigi Martella - trasformati in storie di libertà e di redenzione, proprio come pensato da mons. Antonio Bello nel prorompente desiderio di dare concretezza alla bella parabola del buon Samaritano".
Dal 1984 al 2004, 324 ragazzi transitati nel percorso terapeutico dì recupero.
Oggi 18 ragazzi, da quindici anni in su, anche di quarantacinque anni, provenienti da ogni parte d'Italia. Ma questo non importa, potrebbero essere "fìgli" di ognuno, di ogni famiglia. Ed è di "famiglia" l'aria che sì respira nella grande "casa". Imprimere ragioni e provare a ricreare il personale "progetto" di vita.
Far rinascere quel sentimento interiore di amore verso se stessi, il lavoro, gli interessi, lo svago, il divertimento, gli affetti. Parlare con gli altri e farsi ascoltare. Si va in profondità nei due anni di terapia per venire fuori dal tunnel e per tornare a toccare con mano la serenità perduta.
Una vita "in corto" che si riprova a far riaccendere. Prima l’accoglienza, poi l'integrazione, la verifica e il progetto di vita. L'impegno quotidiano nel lavoro di serigrafia, il restauro, l'allevamento degli animali nella stalla, i prodotti caseari, il latte, le coltivazioni di ortaggi la serra, ed altro ancora. La domenica il mercatino, le attività ricreative, gli sport, il calcio. Poi il centro d'ascolto, la presenza dei gruppi, il reinserimento socio lavorativo e il recupero scolastico, ed anche il telefono "amico". Un'organizzazione precisa, divisa tra amministrazione, una parte terapeutica coordinata da don Michele, una parte medica, un’altra di lavoro. Un’aria di casa, con operatori e volontari a dare una mano. Per don Michele “la mia idea di comunità deve avere un ambiente familiare, senza grandi numeri, per un lavoro terapeutico serio. La Famiglia. E ti porti dietro l’immagine di quel "momento" che vedi durante la messa, la domenica, nella piccola chiesetta all'interno della comunità: don Michele sul· l'altare con i ragazzi dietro a tenersi per mano, i parenti, i genitori, le persone care e la gente ... s'innalza il coro e un coinvolgente sorriso si trasmette" sui visi di tutti. E' la vita di comunità che esprime loro ... "che vivere è bello".
Da "LA NUOVA CITTA'" Dicembre 2004
Luigi Elicio




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