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IL PARCO DEL CONTE

IL MESSAGGIO DI DON TONINO PER LA NUOVA SEDE


Le mani che salvano, di Giovanni Morgese,
volontario per il laboratorio di serigrafia,
per il trasferimento alla sede nel 1987


Carissimi, 
la data di oggi è tra le più significative per la nostra diocesi. 
Ma non so se, nel giorno in cui inauguriamo la nuova sede della Comunità di Accoglienza per i tossicodipendenti, sia lecito far prevalere l'estasi per il tanto compiuto o, invece, non sia più giusto lasciarsi prendere dalla preoccupazione per il tantissimo che resta ancora da fare.
Non vogliamo allarmare nessuno, né pretendo di seppellire sotto il conteggio delle omissioni questo piccolo segno della speranza costituito dalla C.A.S.A. di Ruvo. Ma, nonostante i sacrifici compiuti per realizzarla, la tragedia del fenomeno droga, che sta mietendo vittime anche nelle nostre città, oggi ci proibisce severamente di contemplare la nostra bravura.
Non illudiamoci: il flagello della droga colpisce più di quello che si vede. Forse è divenuto sotterraneo e strisciante, ma, c'è. Forse ha trovato i moduli per vivere in simbiosi con la società senza scandalizzarla troppo, ma c'è. Forse ha reso più morbidi i suoi punti di incastro con l'opinione pubblica, ma c'è. Ed è pericoloso chiudere gli occhi sotto la carezza di una assuefazione che non ci scomoda più.
«Il vero esilio di Israele in Egitto - diceva un rabbino - fu che gli Ebrei avevano imparato a sopportarlo».
L'inaugurazione della C.A.S.A., pertanto, più che un rito leggiadro in cui celebriamo i fasti delle nostre opere buone, vuole essere un pugno sulla faccia del corpo sociale che forse ha abbassato la guardia, e che, in ordine a certi valori, è entrato, lui per primo, in crisi di astinenza.
I toni di crociata oggi fanno ridere. Così pure, certi facili moralismi. Ma non fa certamente ridere l'allusione a due grossi impegni di cui tutti insieme dobbiamo farei carico.
Anzitutto, batterei sul versante della prevenzione, iniettando all’anemico metabolismo sociale siringhe di valori. Se il tempo che spendiamo per riparare i guasti lo impegnassimo per evitarli, ci sarebbe anche un dispendio minore di energie.
E poi alimentare la speranza. Che non è esercizio ingenuo di caparbietà. Ma certezza che cambiare è possibile e che, se il vento dello Spirito soffierà sul fuoco della solidarietà degli uomini, «il lamento si muterà in danza, e la veste di sacco in abito di gioia».
Ecco allora il discorso sui segni.
Domenica scorsa si è inaugurata a Molfetta un'altra casa: la Casa del Signore, nella parrocchia di S. Achille. Tutta la mattina una pioggia torrenziale si è riversata sulla città e dal tetto inclinato del nuovo tempio l'acqua scendeva a canali. Al punto che la sera, quando tra il popolo in festa ho benedetto con l'acquasanta le pareti della Chiesa, mi sarei parso ridicolo se non avessi avuto la convinzione che, pur nella sproporzione tra le cateratte del mattino e le poche gocce dell'aspersorio la sera, la speranza fioriva tutta sul versante di queste ultime. Perché l'acqua benedetta era il segno battesimale della novità di vita, il simbolo dei cambi radicali, il primo acconto riscosso su una coraggiosa polizza di resurrezione.
Traducendo i simboli, non è difficile vedere nelle gocce dell'aspersorio l'immagine della C.A.S.A.
Perché regga il confronto con i rovesci del nubifragio, non è lecito calcolarne l' efficacia con i criteri pluviometrici dei centimetri cubi. Ma sul carico di speranza che essa racchiude e che quantifica la portata di una formidabile scommessa.
La scommessa che alla fine l'uomo la spunterà sulla «roba», e che il gusto di vivere prevarrà sullo squallore della paranoia. Un immenso augurio. Vostro
don TONINO vescovo

 Da «Luce e Vita» del 5 luglio
1987. 

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